sabato 3 ottobre 2009

UN UCCELLO AZZURRO - Charles Bukowski

nel mio cuore c’è un uccello azzurro che
vuole uscire
ma con lui sono inflessibile,
gli dico: rimani dentro, non voglio
che nessuno ti veda.

nel mio cuore c’è un uccello azzurro che
vuole uscire
ma io gli verso addosso whisky e aspiro
il fumo delle sigarette
e le puttane e i baristi
e i commessi del droghiere
non sanno che lì dentro
c’è lui

nel mio cuore c’è un uccello azzurro che
vuole uscire
ma io con lui sono inflessibile,
 gli dico:
 rimani giù, mi vuoi fare andar fuori
di testa?
 vuoi mandare all’aria tutto il mio
lavoro?
 vuoi far saltare le vendite dei miei libri in
Europa?

nel mio cuore c’è un uccello azzurro che
vuole uscire
ma io sono troppo furbo, lo lascio uscire
solo di notte qualche volta
quando dormono tutti.
 gli dico: lo so che ci sei,
 non essere
triste

poi lo rimetto a posto,
 ma lui lì dentro un pochino
canta, mica l’ho fatto davvero
morire,
 dormiamo insieme
così col nostro
patto segreto
ed è così grazioso da
far piangere
un uomo, ma io non
piango, e
voi?

Charles Bukowski, The Last Night of the Eart Poems

venerdì 25 settembre 2009

La guerra dei sordi – Prologo

Di Laura Costantini e Loredana FalconeMaprosti & Lisanti Editore


Dal foro praticato nella recinzione cominciò ad affluire una piccola folla di T-shirt cenciose. Il lettore cd che Alì Sweti mostrava con orgoglio ai suoi compagni di classe aveva finito con l’attirare intorno a lui più ragazzini di quanti il passaggio di auricolari potesse accontentarne prima della fine della ricreazione.
“Me l’ha regalato mio fratello. Me l’ha regalato Rhamul per il mio compleanno”, continuava a ripetere.
Non che agli altri interessasse, almeno non quanto l’ultimo successo dei Planetfunk che rimbombava fin quasi alla distorsione negli auricolari…
Quasi allo stesso volume, quella stessa canzone, Who said, aiutava Shaul a immaginare un mondo completamente diverso al di là dello scafo del carro armato. Un mondo dove un ragazzo come lui spendeva i suoi diciotto anni a cazzeggiare con gli amici piuttosto che ad aspettare l’ordine per scatenare una tempesta di fuoco contro abitazioni civili. Il cingolato era infilato in una strada che bastava appena a contenerlo. L’obiettivo, per quel che ne sapeva Shaul, era una rimessa dove membri delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa preparavano ordigni esplosivi per i loro attentati. Lui conosceva quella zona di Gerusalemme Est. Quando era ancora un ragazzino, si era fatto un dovere, insieme ai suoi compagni di bravate, di dimostrare il proprio coraggio andando a scambiare sassate con i ragazzini palestinesi. Sapeva anche che tra la loro posizione e l’obiettivo si trovavano abitazioni civili e, soprattutto, una scuola. Era sicuro che, se avesse spento il lettore cd, sarebbe riuscito a sentire il chiasso degli scolari che trascorrevano nel cortile la ricreazione…
“Che fortuna che hai ad avere un fratello grande come Rhamul”, disse Yunis, affascinato dai bagliori d’argento che il sole traeva dal piccolo riproduttore, mentre cercava il coraggio per chiedere di poterlo toccare.
“Rhamul è fortissimo”, rincarò Alì. “Quando questo paese sarà in mano a noi palestinesi, lui sarà una persona molto importante, il braccio destro del Rais, perché è un grande guerriero islamico. E allora mi comprerà una Playstation con un mucchio di giochi!”
“Giura che mi ci farai giocare!”
“Certo. Tu sei mio amico e Rhamul dice sempre che gli amici sono sacri e che noi dobbiamo dividere tutto ciò che abbiamo con gli amici.”
Yunis afferrò la palla al balzo e allungò le mani verso il lettore cd.
“Cinque minuti…”, assicurò facendo ripartire il disco dall’inizio.

Anche Shaul avrebbe volentieri riascoltato il cd dall’inizio, ma in quel momento l’interfono cominciò a gracchiare ordini. Sebbene la manovra di avvicinamento fosse avvenuta con la massima cautela e di sabato, giorno in cui i palestinesi difficilmente si aspettavano azione di rappresaglia da parte degli israeliani, la sorpresa era andata a farsi fottere. Dovevano agire subito e il capocarro gli ordinò di prepararsi a fare fuoco secondo le coordinate stabilite.
“Signore, da qui prenderemo anche la scuola…”
“Questi sono gli ordini, soldato.”
“Ma a quest’ora i bambini sono tutti lì.”
“Cazzo, Levy, ti ho dato un ordine, eseguilo!”
Shaul fu tentato di rispondere che quelle stesse parole erano state ripetute fino alla nausea durante il processo di Norimberga. Glielo aveva raccontato suo nonno. Ma sapeva che non sarebbe servito. Impostò le coordinate, ma alzò impercettibilmente il tiro, nella speranza che i proiettili volassero al di sopra di quei ragazzini, spingendoli a mettersi in salvo….
“Yunis, il maestro chiama…”
“Aspettiamo che rientrino tutti gli altri, dai!”
Tenevano un auricolare ciascuno, il volume al massimo delle possibilità del riproduttore e i piedi che tentavano di seguire il ritmo improvvisando passi per una musica che apparteneva ad un altro mondo.
Praticamente non sentirono il sibilo della cannonata. Il colpo si abbattè nel vicolo stretto tra il cortile della scuola e la rimessa, generando una sventagliata di schegge incandescenti. Alì le vide scintillare e pensò che erano belle, molto più belle di qualsiasi videogame. Non sentì dolore. Riuscì a rendersi conto, prima del buio, che il gioco era finito.

NdR: Eventuali piccoli errori sono causati da imprecisioni di battitura. Il brano è stato copiato dal libro e non via copia/incolla....

Disclaimer: per gentile concessione di Laura Costantini e Loredana Falcone - Tutti i diritti riservati

giovedì 24 settembre 2009

IL BACIO DI ANGELA

di Francesco Scipione

Il sonno mi stava lasciando, prendevo mano a mano coscienza, il mondo riappariva. Ma non era completo, non c’era il normale godimento o rodimento da risveglio, era come se tutto fosse impastato, qualcosa non andava. Sapevo bene cos’era, conoscevo quel dolore a memoria. La fitta al fianco era sempre più viva e pulsante e cominciava ad impadronirsi di me. Il dolore alla gamba, la nausea, lo stordimento. Ancora, ancora una volta, pensai, e mi girai a guardare Sandra che dormiva sommessamente, in pace con se stessa, con me, con il mondo. Provai ad alzarmi, ad andare sul divano a guardare la televisione, sperando di trovare qualcosa di talmente palloso da riuscire a dormire di nuovo. Passò un’ora ma la situazione non dava segni di miglioramento, anzi. Provai a fare la doccia, il caldo per un po’ mi diede sollievo, solo per un po’, non abbastanza. Le sei di mattina, erano le sei di mattina e volevo sparire con il mio dolore, cercare un anfratto buio per urlare e piangere non più in silenzio. La testa cominciava a girare per il dolore. Ero al punto di non ritorno. Svegliai Sandra con un bacio e la vidi comprendere subito la situazione. Si alzò di scatto e si vestì di corsa, ma a me quei gesti sembravano lenti come la vestizione di un prete. Scesi le scale lentamente con il fianco che pulsava sempre più violento, senza rispetto, quasi a voler dimostrare chi fosse il più forte.


La macchina era naturalmente il più lontano possibile, dove la sorte aveva dato in dono un parcheggio all’ora in cui tutti rientrano. Camminare diventava penoso, respirare, pensare. Non aspettavo altro che di sentire il Toradol entrare nelle mie vene e spazzare via tutto. Ancora poche centinaia di metri e mi sarei preso la rivincita. Provai a fumare mezza sigaretta per distrarmi, ma la nausea me la fece spengere quasi subito. Sandra guidava e si girava di tanto in tanto a guardarmi, senza parlare, con profondo rispetto allungò una mano a sfiorarmi la gamba. Sa che quando sto male non voglio essere toccato, ma voleva comunque farmi sapere che c’era. Ma io lo sapevo e soffrivo ancora di più.

Arrivai al gabbiotto del triage quasi piegato, con un filo di voce. E la vidi, la faccia rotonda, i capelli a coda, le braccia incrociate sul petto, mentre parlava con i colleghi infermieri. Angela mi riconobbe e mi sorrise, tra il meravigliato e il divertito. Subito premette il bottone di accesso all’astanteria. Le porte automatiche si aprirono con un soffio e l’odore di disinfettante mi accolse in quel girone di dolore multiforme e drammaticamente reale, dove tutti sono gravi, dove tutti stanno male più di te e dove tu stai male più degli altri.

Angela mi accompagnò ad una lettiga, mi fece sdraiare, sparendo subito dopo avermi dato un colpetto rassicurante sulla spalla. Tornò, al mio personalissimo orologio, dopo circa un’ora, ma erano passati solo pochi minuti. In un piccolissimo vassoio di plastica a forma di fagiolo c’era tutto l’occorrente per vincere la mia battaglia: un bibitone di salina da mezzo litro con su scritto “Toradol, Antra, Rilaten”, un ago cannula, un catetere venoso, due provette per il prelievo del sangue, due cerotti e un laccio emostatico. Preparai il braccio destro per la vittoria. L’ago entrò con indicibile grazia, quasi chiedendo permesso, quasi cercando di non disturbare con altro dolore. Dolce e timido come un bacio tra due amanti al primo incontro. Angela sorridendo mi fece sedere nel corridoio fuori dalle sale visita e, passando, buttava un occhio al bibitone in attesa che finisse, in attesa che il mio viso tirato dall’ennesimo dolore si rilassasse. A tre quarti della flebo, il dolore si allentò, ricominciai a ragionare, ad avere fame, a sentirmi vivo. Immaginavo Sandra nella sala d’attesa intenta a leggere un giornale, o a vedere una televisione con il volume troppo basso per essere sentito e troppo alto per stare in silenzio in quella prima mattina di inizio estate. Il sole filtrava dalle vetrate automatiche divelte da qualche paziente deluso. Gli ubriachi e i barboni iniziavano a fare fagotto e a lasciare i loro giacigli notturni. Angela veniva a chiudere la flebo e a togliere l’ago cannula, mentre il medico di turno redigeva un altro pezzo della mia collezione di referti. Battaglia vinta, almeno per ora, fino al prossimo castissimo bacio di Angela alle mie vene.

Disclaimer: questo racconto è proprietà intellettuale dell'autore. Anche se non coperto da diritto d'autore, è frutto del suo ingegno.

OCCHIO, QUESTO POST POTREBBE IRRITARE GRAVEMENTE I NON FUMATORI. NON A CASO E' STATO SCRITTO DALLA MIA META' OSCURA, TABAGISTA CONVINTA.

di Laura&Lory

Sono nata negli anni 60, quando la sigaretta era uno status symbol, chiaro segno di emancipazione per le donne e di machismo per l’uomo. Si fumava dappertutto, negli uffici pubblici, nei locali di ritrovo, al cinema, sugli autobus e perfino negli ospedali. Non c’era nessun rispetto per i non fumatori, gli studi sul fumo attivo e passivo erano di là da venire e, cosa ancor più grave, non c’era rispetto neanche per la salute dei bambini. Le bionde venivano celebrate sui giornali, nelle pubblicità, al cinema…. chi di noi può dimenticare il grande Bogart?

Gli anni 70 portarono alla ribalta un altro tipo di fumo, gli hippies immortalati a Woodstock si passavano cannoni con la stessa facilità con cui da bambini avevano fatto girare la bottiglietta della Coca Cola.
Negli anni 80 qualcosa cominciò a muoversi, si cominciò a parlare dei danni che il fumo provocava, del suo stretto legame con l’insorgenza del cancro ai polmoni e delle malattie vascolari. Timidamente si affacciarono alla ribalta i primi contestatori, si proposero delle limitazioni, niente più fumo sui mezzi pubblici (ma si poteva fumare su aerei e treni), negli ospedali (tranne che nelle sale d’aspetto) e in qualche ufficio pubblico.
Con gli anni 90 arrivò la consapevolezza che si portò dietro i primi divieti e, come una sorta di effetto collaterale, i due crociati nella lotta al fumo, Veronesi e Sirchia. Da due illuminati ministri alle leggi antifumo del nuovo millennio il passo fu breve…
Ma questa è storia che appartiene al passato, di più recente abbiamo l’ultima limitazione imposta ai tabagisti in quell’isoletta di pescatori che è la vecchia, cara Inghilterra: il divieto di fumare nella propria auto. Ovviamente il divieto si inquadra in una più vasta campagna per la sicurezza sulle strade ma, come al solito, si inserisce su un terreno di discussione molto più ampio che è quello delle libertà della persona. Proprio così, cari i miei salutisti, perché non è certo un caso che uno dei più accaniti nemici della sigaretta fosse un tale Adolf Hitler (la sua campagna antifumo era volta a preservare la salute della razza ariana) da tutti noi conosciuto come il più grande difensore dei diritti umani… o sbaglio?!?
Sono una fumatrice e ho detto SI alla legge antifumo, non era pensabile affidare una materia tanto delicata al buonsenso della gente, gli italiani, si sa, hanno bisogno delle minacce per comportarsi da bravi bambini. Ma adesso stiamo veramente esagerando! Perché se è vero che è pericoloso guidare con la sigaretta tra le dita è altrettanto pericoloso togliere la mano dal volante per poggiarla sulla coscia della tua ragazza, è pericoloso togliersi quella fastidiosa caccola che ti ostruisce la narice come un tir di traverso nella galleria del Frejus, è pericoloso soffiarti il naso, grattarti il sedere, controllare l’acconciatura allo specchietto, ascoltare lo stereo, parlare al telefonino anche se con l’auricolare, è pericoloso perfino pensare ai caxxi tuoi! Già, perché in macchina qualsiasi distrazione può costarti la vita, non solo il fumarti una sigaretta.
Stiamo veramente grattando il fondo del barile… di questo passo arriveranno a proibirci di fumare anche in casa nostra (negli Stati Uniti ci sono condomini interdetti ai fumatori)! Non basta metterci davanti lo spauracchio del cancro, non basta ghettizzarci fuori dai locali, oggetto degli sguardi accusatori di quanti hanno mantenuto intatta la purezza dei propri polmoni (poveri illusi…), non basta smaronarci con speciali televisivi e pubblicità progresso, la beffa più grande è venderci le nostre amatissime 20 nemiche/amiche in un pacchetto che è un inno agli scongiuri, rigorosamente griffato Monopolio di Stato! Già, perché in barba a tutte le leggi varate e da varare, è lo stato a fare in modo che non ci manchi mai la nostra dose di veleno giornaliero, è lo stato a lucrare sulla nostra salute. E poi, diciamocelo, quella dei pacchetti intelligenti è una menata che non sta né in cielo né in terra, buona solo a farci sopra le barzellette… (la sapete quella di un tale che entra in un tabacchi, prende le sigarette e legge sul pacchetto: il fumo rende impotenti. A quel punto torna sui suoi passi e chiede timidamente al tabaccaio: potrei avere quelle col cancro per favore?)
Il fumo è un vizio condannabile (sono d’accordo!), bisognerebbe smettere di fumare (condivido!), bisogna proteggere gli altri dal nostro fumo (ben detto!), ma mi permetto di aggiungere, non sarebbe anche il caso di lasciare che ognuno di noi decida di che morte vuole morire?
No, mi sento rispondere, perché il fumatore che si ammala di cancro ai polmoni è un costo per la sanità pubblica. Non più dell’alcolizzato che si ammala di cirrosi epatica, rispondo io, non più dell’obeso che si fa un’overdose di cannoli siciliani, ma a nessuno è venuta in mente una legge che vieti lo spaccio di alcolici o proibisca ai diabetici, ai colesteroglicemici di entrare in pasticceria. Che forse di ictus o coma diabetico è permesso morire e di enfisema no?
Quello che ci sta veramente spappolando le balle, cari non fumatori, non sono tanto le leggi che, ribadisco, quando sono per la salvaguardia del non fumatore sono validissime, quello che ci sta trapanando i marroni è l’invasione nel nostro libero arbitrio, è l’essere continuamente additati, l’essere continuamente chiamati in causa. In sostanza il fumo è una scelta, non condivisibile, ma volontaria. Possibile mai che un povero disgraziato non si possa fumare in pace una sigaretta senza che qualcuno senta il dovere di fargli la morale?!
Una volta ho letto su un accendino: il fumo tiene lontano i rompicoglioni… oggi, ahimè non è più vero neanche questo!

Disclaimer: questo racconto è proprietà intellettuale dell'autore. Anche se non coperto da diritto d'autore, è frutto del suo ingegno.

mercoledì 23 settembre 2009

Ciao a tutti e grazie....

... davvero di cuore per le adesioni pervenute. Significa che qualcuno ha ancora qualcosa da dire e mi sento molto rinfrancato. Comincerò a pubblicare sul blog a breve, rispettando l'ordine di arrivo del materiale. Ci vorrà un po' di tempo perché non voglio fare il semplice copia/incolla, soprattutto per quelle cose che andrò a "saccheggiare" dai blog amici.
Vi abbraccio e vi ringrazio di cuore
Francesco

venerdì 18 settembre 2009

Che bello scrivere....

Penso di aver sempre avuto due passioni nella vita: leggere e scrivere. Quando ero ragazzo, internet, i blog e le varie diavolerie che noi tutti oggi usiamo con più o meno perizia stavano nella mente di Dio. Così si riempivano agende, quaderni, tovagliolini di pizzerie e bar con strampalate, ma romantiche (nel senso di epopea) frasi, sensazioni e stati d'animo.
Questo blog nasce nella malcelata ambizione che ognuno di noi ha molto da dire, a prescindere dalla forma e dalla modalità espressiva. Vorrei che tutto questo non "andasse perduto come lacrime nella pioggia"

Francesco Scipione

PS: Per coloro che mi forniranno i loro "deliri letterari", per favore niente politica, niente PAPY, niente di quella tristezza mentale che, ogni giorno, siamo costretti a subire dai pennivendoli di regime. GRAZIE.